Le mie passioni › Paola Turci

Su Paola Turci ho scritto un racconto e non potevo non metterlo nel mio sito.
Si chiama "Il cappello di paglia", ovviamente non è stato pubblicato: ne esistono solo tre copie (la mia, firmata da Paola, quella di Paola, firmata da me, e quella di Gianfranco, colui che ha avuto l'idea di fare del racconto un libretto con foto e copertina e che ancora attende le firme mia e di Paola...).
Quando al raduno del Fan Club ho sentito che è in preparazione un libro – biografia su Paola Turci un po’ ci sono rimasto male e l’ho detto anche a Luigi, uno degli autori. Infatti da un po’ di tempo avevo in mente di scrivere qualcosa su questa cantante (lo so, è un termine riduttivo), che è un po’ l’angelo custode di molte delle persone che stanno leggendo queste righe (non vi sarete già annoiati??). Niente a che vedere con biografie o cose simili, ma solo i miei ricordi, a volte romanzati, a volte autoironici ma sempre veritieri, di tredici anni di concerti e emozioni in giro per l’Italia seguendo Paola nei suoi tour.
Avevo iniziato a scrivere qualcosa ma mi ero sempre fermato. Stavolta però, anche in seguito ad una cosa che mi è successa a capodanno, non ho voluto lasciare per strada idee o iniziative e mi sono “riservato” qualche ora del giorno a disposizione per il pc. Ho scritto di getto e senza tanti riferimenti che non fossero le foto e i ritagli di giornale che conservo a casa e quindi potreste trovare imperfezioni o errori di date e luoghi. Ma non era la forma che mi interessava quanto il contenuto e, visto che ogni pagina è scritta con il cuore, spero che per chi legge possa bastare.
Ho citato episodi che probabilmente Paola non ricorda neanche più cercando di essere il più preciso possibile e spero che lei, leggendo questo racconto (se mai lo farà) riviva anche un millesimo di queste emozioni. Tranne quelli di Paola e di altre persone legate alla sua attività di cantante non troverete però nessun altro nome dei mille che avrei voluto e dovuto scrivere perché questo scritto (consideratelo una e-mail lunghissima) non viene ovviamente inviato a nessun altro che agli amici conosciuti in tanti anni per ringraziarli delle emozioni che abbiamo condiviso, delle risate che ci siamo fatti in attesa che arrivasse l’ora dei concerti e dei problemi che ci siamo scaricati addosso a vicenda convinti che la musica di Paola bastasse per risolverli. E forse era proprio così.
Ma non crediate che vi faccia leggere questo racconto senza chiedervi niente in cambio…. Alla fine ho messo una lista di nomi che DOVETE leggere attentamente: ci sono riferimenti importanti per guidarvi nelle buone azioni che, sono sicuro, farete. Sono nomi di alcune tra le tante associazioni di volontariato che operano in Italia per cercare di fare del bene nel campo della medicina, dell’ambiente, della tutela dei minori e via di seguito. Se ne conoscete altre e, secondo voi, ancora più meritevoli, tanto meglio. L’importante è che, una volta letta l’ultima riga del racconto, vi ricordiate di passare alla posta o in banca a dare un valore a quanto avete letto e soprattutto a quello che state per finanziare. Vi ho rotto le scatole con le mie memorie da vecchiarello? Due Euro alla associazione X. Vi siete divertiti ma era meglio andare al cinema? Date i 5 Euro del biglietto che vi ho fatto risparmiare al signor Y. Vi è piaciuto e mi volete ringraziare? 10 Euro a XYW…
Comunque sia grazie del tempo che vorrete dedicare a questa “esplosione di creatività” che mi ha colpito in questo inizio di 2002.
Solo altre due righe per altrettante dediche:

a Paola, per quello che è stata, che è e che sarà per me e per tutti noi
a Giacomo, che mi ha fatto il più bel regalo di Natale mai avuto.

1989

Quel luglio del 1989 me lo ricorderò a lungo, credo per sempre. La maturità, il primo vero amore non più adolescenziale ma maturo e mai corrisposto, il caldo al torneo di tennis organizzato con gli amici e del quale conservo la coppa del terzo posto e… Paola. Eh sì, quel mese di una estate che per molti avrà significato poco (quella del ’90 ad esempio, resterà per la stragrande maggioranza “quella dei Mondiali in Italia”) è stato il mese che, a guardare bene, ha cambiato molti aspetti della mia vita, intesa in senso interiore, non certo materiale.
Con un diploma di maturità classica “guadagnato” con anni di battaglie sui banchi di una scuola noiosa e arretrata e con professori insensibili e antiquati mi stavo godendo la prima vera vacanza senza compiti o pensieri: a dire la verità “quel giorno” ancora non sapevo che tutti i miei sforzi (pochi) sui libri si sarebbero ridotti ad un misero 36, ma il pensiero di avere, da quattro giorni, sostenuto anche l’esame orale mi rendeva la persona più felice del mondo. Eppure “quel giorno” era anche uno dei tanti in cui il mio amore per una splendida ragazza del mio paese sarebbe rimasto non corrisposto, con lei capace di considerarmi solo un buon amico (e fortunatamente niente da allora è cambiato) e con i miei pensieri sempre e comunque rivolti al suo volto e alla sua voce.
Ma in realtà prima di “quel giorno”, e cioè due ore dopo aver sostenuto l’esame orale, ero passato dalla mia amica Daria, al suo negozio di dischi che ora ha lasciato il posto ad un negozio di animali (Daria non c’entra, è partita per non so dove, credo il Canada…), per vedere se mi aveva finalmente portato la cassetta che le avevo chiesto ormai da mesi.
“Sì, Paola Turci è arrivata..” mi assicurò, prima ancora che potessi farle per l’ennesima volta la stessa domanda. Pagare, togliere il cellophane e inserire la cassetta nello stereo della vecchia Uno furono operazioni che non durarono più di dieci secondi. Non so bene, o non mi ricordo, se l’eccitazione fosse dovuta più al fatto di aver atteso tanto quella cassetta o all’impazienza di ascoltare una voce sentita finora solo alla radio o in televisione. Ma ricordo benissimo che, dopo il classico spazio vuoto all’inizio di ogni nastro che parve durare un’eternità, partirono le note di “Siamo gli eroi… Io non sono per niente esperto di musica, per me le note sono emozioni o relax, divertimento o riflessione ma non accordi, solfeggi, alti, bassi e via di seguito. Però il suono della chitarra mi piacque e mi sembrò proprio quello di cui avevo bisogno a poche ore di distanza dalla fine della scuola: una sensazione strana che continuai a gustare anche una volta tornato a casa. La prima canzone di Paola che il mio stereo del salotto ha avuto l’onore di suonare, e non poteva essere altrimenti, è stata “Bambini”, il terzo brano di quell’album: sulla poltrona sono rimasto ad ascoltare tutta la cassetta scaricando lo stress accumulato poche ore prima e pensando che, in fondo, questa Turci era davvero brava come mi aspettavo dopo averla vista più volte a Sanremo..
Alle 13 (la cassetta stava finendo) tornò a casa mia mamma, la persona che più di me si preoccupava per la scuola e tanto più per la maturità. Credo che nella mattina di quel 4 luglio abbia pensato al mio orale più di me e dei miei compagni di classe rimessi assieme, però, appena messo piede in casa, la domanda che mi aspettavo (“com’è andata????) si trasformò con mia sorpresa in “di chi è questa bella musica?”. Le casse delle stereo avevano fatto arrivare fino in fondo alle scale la versione strumentale di “Ti amerò lo stesso”, gli ultimi meravigliosi minuti di una cassetta che occupa il primo gradino sul mio podio personale… Il fatto che poi abbia impiegato più a spiegarle chi era e cosa cantasse Paola che a raccontarle le domande di greco su Milziade e quelle di storia sulla rivolta dei Boxer in Cina è un fatto di secondaria importanza.
Quel 4 luglio del 1989 aveva fatto entrare in casa Grazzini, e dalla porta principale, la signorina Paola Turci.

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“Quel” giorno

“Quel giorno” al quale mi riferisco non è però il 4 luglio ma l’8, se possibile ancora più caldo e afoso dei precedenti. Ma la temperatura estiva (che adoro) non era stata la causa del mio risveglio insolitamente mattutino (le 11 anziché mezzogiorno, da buon ex liceale in vacanza): da meno di ventiquattro ore avevo infatti saputo che Paola Turci avrebbe cantato a meno di trenta chilometri da casa mia, in un concerto tutto suo, in un tour tutto suo, su un palco tutto suo. La notizia, letta il giorno prima su La Nazione, significava che le note di Paola, ascoltate ormai in continuazione a ogni ora del giorno da quattro giorni, sarebbero diventate persona, che la chitarra di Paola avrebbe avuto un colore, una grandezza, che Paola stessa sarebbe stata in carne e ossa davanti a me, senza sapere quanto lontana o quanto vicina.
E proprio per questo motivo iniziarono le ore del mio tormento tragicomico. Da appassionato esagitato e irrazionale di calcio sarei stato in grado di prevedere ogni singolo avvenimento del giorno seguente se si fosse giocata una partita in uno stadio, fosse anche la finale di Coppa dei Campioni, ma la musica era per me terreno minato e ostile e l’unico precedente che avevo in fatto di concerti da un lato mi ha completamente spiazzato e mandato fuori strada, dall’altro però mi ha aiutato nel coronare un sogno.
Premettendo che in diciannove anni avevo visto solo Raul Casadei a Cervia quando avevo otto anni e avevo “sbirciato” di nascosto da un campo di grano (per non pagare il biglietto) le esibizioni di Fausto Leali e Luca Barbarossa nel 1988 a pochi chilometri da casa mia, l’unico concerto vero nel senso della parola e delle “dimensioni” era stato il Madonna Live a Firenze nel 1987. Undici ore di attesa fuori dalla curva Ferrovia in mezzo a gente di ogni età, sesso e nazione prima di entrare sul terreno di gioco senza toccare con i piedi per terra, “strizzato” tra i quasi due metri di mio cugino e la schiena di un energumeno mai visto né conosciuto prima…
Per farla breve: l’esperienza mi aveva divertito ma anche sconvolto, perché alla fin fine Madonna era a cinquanta metri da me e io, che non ho certo il fisico da giocatore di basket, ero riuscito a vedere il trenta per cento dello spettacolo.
Così, dopo aver letto sul giornale che il concerto di Paola iniziava alle 21 (una “bugia” che ho imparato a non considerare con il passare degli anni e che ancora si ripete…), ho detto: “Se per Madonna ci sono volute undici ore per Paola Turci ne basteranno sei… ma anche cinque…”.
Alle 15, 15 sono salito sulla Uno solo soletto (provate voi a convincere gli amici a venire a vedere la “sconosciuta” Turci a luglio del 1989…) e ho preso la strada per Campi Bisenzio, direzione Festa dell’Unità, nello stesso spazio dove l’anno prima c’era stata la Festa dell’Unità Nazionale e che si vede ancora dall’autostrada arrivando a Firenze.
“Devo aver sbagliato punto d’entrata” ho detto quando, alle 15 e 45, ho parcheggiato in uno spiazzo immenso e polveroso ma totalmente vuoto. Ho lasciato ugualmente la macchina lì (in realtà si trattava davvero del parcheggio) e mi sono incamminato verso il palco, del quale vedevo la copertura in lontananza. Camminavo e non incontravo nessuno, mi voltavo a destra e a sinistra e non c’era anima viva: a confortarmi solo i cartelloni con il volto di Paola che annunciavano il concerto.
Il sole delle 16 dell’8 luglio non è il migliore compagno per un pomeriggio di relax e così, dopo aver cercato invano uno stand aperto per bere qualcosa, mi sono seduto nell’unico punto d’ombra nel raggio di dieci chilometri, ovvero dove la copertura del palco non faceva arrivare i raggi del sole: in prima fila, proprio al centro! Per un quarto d’ora non è successo niente e a distrarmi pensarono due aerei in fase d’atterraggio nella vicina pista di Peretola. Poi…

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Il cappello di paglia

Alle 16 e 30 (mi posso sbagliare di tre-quattro minuti, non di più) ero quasi assopito con il mento appoggiato al petto (ho detto quasi, non ridete…) quando, in quello che mi sembrava un dormiveglia, ho sentito le prime note di chitarra di “Siamo gli eroi”. “Chi ha messo il nastro che ho nello zainetto??” ho pensato alzando istintivamente la testa verso il palco..
Ed è stato allora che ho visto per la prima volta Paola Turci.
Non sono un tipo romantico e quindi è stato giusto non avere dalla vita una di quelle situazioni da film dove l’estasi è immediata e gli occhi sembrano rapiti in attesa di un bacio o di una carezza. Anzi!!
Sotto ad un cappello di paglia chiaro c’era una ragazza minuta, con una maglietta di cotone troppo larga per spalle così piccole, con pantaloni rossi di stoffa leggera e un paio di scarpe basse a mocassino, stile squaw indiana. E in braccio una chitarra. Il mio mito musicale, il mio sogno di ex liceale, la ragazza che più di ogni altra al mondo assomigliava a quella di cui ero innamorato perdutamente era a dieci metri ed era ridotta ad una figura totalmente diversa da quella che mi attendevo. Non persona inarrivabile ma semplice, non star da copertina ma ragazza acqua e sapone…
Con una confusione totale in testa credo d’averla guardata a bocca aperta, sicuramente senza dire niente, neanche quando le note di “Siamo gli eroi” andavano pian piano avanti per la prova degli accordi. Non l’ho mai chiesto a Paola e mai lo saprò ma ho avuto l’impressione che, mentre io la guardavo inebetito, lei abbia pensato: “Chi è questo deficiente seduto qua davanti a cinque ore dal concerto?? E perché mi guarda così?”.
Paola non disse niente, fece molto di più: iniziò a cantare. Lei e la chitarra, niente altro. “Dove sei stata, com’è che stai..”. Queste parole mi risvegliarono di botto dall’ipnosi e in un istante capii che la mia vita era cambiata. Mai avevo avuto l’impressione di assistere a qualcosa di tanto magico come in quel momento, mai una voce mi aveva dato emozioni così intense con sole sei parole, forse neppure Ciotti o Ameri con l’annuncio alla radio di un gol della Juve avevano raggiunto picchi così alti…
Prima di passare a “Due donne” Paola provò quasi tutta “Siamo gli eroi” e per me furono minuti straordinari. Ero ancora estasiato quando arrivarono sul palco i componenti della band: mi ricordo Mario Amici ma anche Paolo Juric che poi ho rivisto in tv a “I fatti vostri”, e poi Ferdinando….
Solo allora ho trovato il modo di prendere la macchina fotografica e fare una-due-tre foto a Paola, le prime di una serie lunghissima che ancora non si è interrotta. A palco di nuovo vuoto mi sentivo meno solo e, in effetti, non era soltanto un fatto “psicologico”.

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L’altra Paola

Intorno a me la Festa dell’Unità si stava animando ma era ovvio che niente al mondo mi avrebbe smosso da quella sedia, alla quale rimanevo ancorato da un’ora. E fu lì che mi raggiunse la “seconda” Paola della giornata, ovvero una ragazza di Massa Marittima che era lì con la mamma ma che lavorava o aveva qualcosa a che fare (non l’ho mai saputo) con lo staff di Paola. Si presentò, mi chiese che cosa facessi lì a quell’ora e parlammo della mia (e sua) passione per Paola: lei non era al primo concerto e mi disse che alla fine, dietro al palco, mi avrebbe fatto entrare nella zona del camerino e, magari, avrei conosciuto Paola. Panico, sudore freddo (oltre a quello per il caldo), impazienza e emozione mi accompagnarono all’ora del concerto, del quale mi ricordo tutto e niente, molto o poco: le foto che ho dimostrano che c’ero, la memoria non ha trovato spazio invece nel cervello occupato solo dalle note e dal volto di Paola. Mi ricordo i jeans e la maglia grigia con l’orlo dorato, i capelli sciolti, i sorrisi al pubblico e alla band, i saluti finali.
Dopo i bis mi volto verso l’”altra” Paola, vicina a me, che mi fa segno di seguirla. Alle transenne alcune persone (pochissime in confronto a quelle dell’ultimo tour) stavano già aspettando per avere un autografo o una foto; Paola ha fatto vedere una tessera ai ragazzi della “Security” (per modo di dire..) e all’improvviso mi sono trovato al di là della barriera, con un giornalista de La Nazione e gli addetti al palco che stavano già smontando luci e casse.
Non so quanto tempo è passato dalla fine del concerto a quando sono entrato nel camerino: forse pochi minuti, forse mezzora. Quando la porta si è aperta Paola era in piedi, alla mia sinistra, e sorrideva. Con un’aria ancora più inebetita di quella delle 16, 30 ho fatto pochi passi, tentando contemporaneamente di premere “Record” sul mini-registratore in tasca e di prendere nello zainetto la cassetta per farmela autografare. Non credo che Paola avesse fatto moltissimi autografi quando mi chiese il nome e mi sembrò anche un po’ emozionata, gustandosi quei primi momenti da star della musica. Io, nome a parte, avevo sillabato (più che pronunciato) poche parole ma mi ricordo che Paola mi restituì la cassetta con la scritta “A Matteo, un bacio, Paola Turci” dicendomi: “Il tour va avanti, ho altre date, ti piacerebbe vedere altri concerti? Vuoi il foglio con tutti gli appuntamenti di luglio e agosto?”
La risposta fu scontata e seguita anche da alcune altre frasi rimaste “impresse”, anche se in modo quasi impercettibile, sul nastro grazie al “Record” premuto in extremis. Il passo seguente è arrivato pochi giorni dopo; un passo lungo cento chilometri, quelli che separavano Vaiano, dove abito, dal primo paese fuori dalla Toscana che vanta l’onore di avermi “ospitato” per un concerto di Paola…

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Castelmaggiore

Fino al giorno del mio secondo concerto Castelmaggiore era stata solo una indicazione stradale sulla tangenziale di Bologna al momento di andare al mare a Cervia d’agosto. Invece questo paesino della piana bolognese diventò il luogo della mia prima, vera, “trasferta” al seguito di Paola e, avendo imparato il trucco di Campi Bisenzio, mi sono presentato sotto al palco alle 16, 30, giusto in tempo per le prove. Questa volta però non ero solo perché a casa, mia mamma, senza nessun rispetto per i miei diciannove anni e la maturità (nel frattempo era arrivata la notizia ufficiale del 36), mi impose la presenza di mia sorella Chiara, allora quattordicenne. “Non puoi viaggiare da solo anche di notte, così ti fa compagnia, ecc. ecc..” e Chiara, alla quale avevo raccontato del concerto di Campi e che più che volentieri univa la gita fuori porta alla possibilità di conoscere una persona importante (anche se ancora non “vip”), accettò subito.
Per chi ci conosce è risaputo che alla mia timidezza fa da contraltare il carattere estroverso di mia sorella, una che si è buttata al collo di Marcello Lippi come se si trattasse di nostro zio, e quindi era ovvio che per Paola era venuto il momento di conoscere la parte femminile della famiglia Grazzini. Quando Paola si è presentata sul palco per le prove ho avuto la netta impressione che mi avesse riconosciuto, abbozzando un sorriso che, dopo mezzora, si è trasformato in una passeggiata fuori dal camerino per venire a salutarmi insieme a Mario Amici. Avuta la dimostrazione che mi aveva riconosciuto ho preso il coraggio a quattro mani e ho iniziato a parlare con lei, presentandole mia sorella e, di fatto, condannandola a una serie di abbracci togli-fiato per i dieci anni seguenti, perché una delle caratteristiche dell’affetto di mia sorella per le altre persone è la stretta da serpente boa al collo dei malcapitati.
E così, da Castelmaggiore in poi la Uno della Grazzini-band ha preso il vizio di arrivare, sempre verso le 16, 30, nelle piazze di paesi e città di tutto il centro Italia.

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Miracolo all’italiana

1989, 1990, 1991, 1992…. Anni che si sono susseguiti con una sola, continua, colonna sonora. Paola era sempre lì, i concerti visti, gustati, assaporati crescevano di numero (purtroppo ormai non sono in grado di dire quanti ne ho visti e neppure di ricordare tutte le città visitate) e anche gli album da ascoltare non si limitavano più al solo “Paola Turci” ma, nel frattempo, avevo trovato il mitico “Ragazza sola ragazza blu” in un negozio di Rimini ed era arrivato anche “Ritorno al presente”, l’album che mi ha permesso di coinvolgere alcune persone importanti nella passione per Paola.
E proprio da quest’ultimo album ricordo con piacere “Miracolo all’italiana”, una canzone che non ho mai ascoltato “live” da Paola (d’altronde anche per ascoltare “Ritratti”, la mia canzone preferita, ho dovuto attendere il raduno del 2001!) ma che, più di Frontiera o Ringrazio Dio, mi accompagnò nell’ennesima estate sulle orme di Paola.
Il 1990 è stato l’anno del Cantagiro, del primo amico che sono riuscito a convincere ad acquistare una cassetta di Paola ma soprattutto del ventiseiesimo compleanno di Paola festeggiato con lei in una pizzeria di Campi Bisenzio. Prima di quella sera io e mia sorella avevamo già visto Paola in altri concerti in Emilia-Romagna e Toscana almeno cinque volte in un mese e le avevamo comprato un peluche azzurro come regalo e, quasi per scherzo, nel camerino dietro al palco di Forlì (29 giugno, giorno del mio compleanno festeggiato al concerto), chiedemmo a Paola se era possibile avere le magliette che indossavano gli addetti del tour, la band e, ogni tanto anche lei. Dopo più di due mesi ci ritrovammo ancora nel camerino di Paola a Campi Bisenzio e, senza che ci fosse bisogno di dire niente, lei tirò fuori da una borsa una maglietta nera per me e una bianca per mia sorella: “Ritorno al presente tour 1990” sulla schiena e l’autografo di Paola sul petto: praticamente una seconda pelle, uno dei regali più belli e inaspettati mai ricevuti, un cimelio che conservo ancora e che indosso in occasioni speciali (raduni, concerti…).
Per questo ero già su di giri quando il tour manager di Paola (non mi ricordo se era ancora Marsili…) chiese a me e Chiara: “Voi che siete di queste parti.. sapete il nome di una pizzeria o di un ristorante dove andare a cena per festeggiare??”. Subito mi venne in mente il nome di un ristorante gestito da un anziano amico dei miei genitori e telefonammo: chiuso! Le poche frequentazioni di una discoteca della zona mi servirono per ricordare il nome di un altro locale vicino all’area del concerto: aperto! Con una timidezza indecente da affrontare riuscii a prenotare un tavolo anche per me e Chiara (più una amica di Milano) e quelli del locale, che tennero aperto solo perché stava arrivando Paola Turci, pensarono che anche noi tre fossimo della band e ci prepararono il tavolo praticamente attaccato a quello di Paola.
Come ogni shock emozionante anche questa prima cena con Paola mi ha lasciato poche tracce nella memoria: Chiara si fece autografare le braccia con il pennarello indelebile da tutta la band e per una settimana andò a scuola in condizioni vergognose, in televisione c’era Mariella Nava ospite del Maurizio Costanzo Show e Paola fece i complimenti a noi che avevamo scelto il locale perché aveva mangiato bene. Frammenti di una serata meravigliosa e con un grande dubbio: che fine avrà fatto il pollo azzurro di peluche che regalammo a Paola???
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Tu stai con me

La terza estate in prima fila ai concerti iniziò in modo particolare, con il cuore in subbuglio e con qualcosina da sistemare in testa. Oddio, quel “qualcosina” era una ragazza che, presa da chissà quale attacco di pazzia, aveva accettato le mie “avances” amorose alla fine di maggio e che, per i nove anni seguenti, sarebbe stata la mia ragazza prima e la mia fidanzata poi.
Nel 1991 vidi Paola per la prima volta alla tappa viareggina del Cantagiro: pur sapendo che la serata dei big era in programma dalle 21 in poi in diretta televisiva, avevo ovviamente deciso di andare a Viareggio alle 13, sorbendomi il sole versiliese e tutto il Cantagiro giovani del pomeriggio, anche questo in diretta televisiva. Questo fatto fece saltare l’effetto sorpresa per Paola: io e mia sorella volevamo salutarla appena arrivava dietro le quinte e invece lei, che dalla stanza d’albergo ci aveva visti inquadrati dalla televisione durante l’esibizione dei giovani e di un ancora sconosciuto ai più (ma non a noi toscani) Giorgio Panariello, ci sorprese alle spalle con un “ciao” calorosissimo. L’album “Candido” non era ancora uscito e così Paola ci regalò la copia “omaggio ”; in più conoscemmo anche i Tazenda, che accompagnarono Paola in quel Cantagiro trionfale.
Ma la prima persona che ascoltò quella cassetta omaggio con me fu la mia ragazza D. (niente nome, solo l’iniziale) e ovviamente la canzone di quella estate non potè che essere “Tu stai con me”.

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Maledetta curva

Siamo al 1993: il 1992 ve lo risparmio, anche perché fu un anno di pausa nei concerti per noi e di lavoro in vista di “Ragazze” per Paola e cito solo un concerto di luglio a Carpi dove, per la prima volta, Paola vide D. Si annunciava il quarto anno da Turci-fan e, sapendo dell’uscita di “Ragazze” ero più che galvanizzato al pensiero del tour estivo.
L’11 luglio (per i calcio-dipendenti è l’anniversario della vittoria del mondiale in Spagna) arrivò il primo campanello d’allarme per quello che sarebbe successo di lì a poco più di un mese: Paola aveva messo nel programma del tour un concerto a Maresca 2000 che, per i non toscani, è la stazione sciistica accanto all’Abetone. Prevedendo una bella domenica estiva nel fresco dell’Appennino io e D. partimmo in auto verso l’Abetone con nello zaino, per sicurezza, una felpa. A Maresca, dove inizia la strada per la piste da sci, le nuvole erano già nere e minacciose ma tutto faceva pensare al massimo a un temporale estivo. Mi fermo da un vigile e chiedo: “Scusi, per Maresca 2000, dove c’è il concerto della Turci?”. “A destra e poi a sinistra, ma credo che sia stato annullato..” fu la risposta inattesa. A dire la verità sospettai che il vigile avesse capito fischi per fiaschi e presi la strada per Maresca 2000.
Ogni chilometro che facevo l’estate si trasformava sempre più in inverno, l’acqua scendeva a catinelle e il vento faceva cadere ramoscelli di abete sempre più grandi. Alla fine parcheggiai nel fango del parcheggio a dieci metri da un pannello pubblicitario del concerto che, portato dal vento, stava venendo a darmi un benvenuto non richiesto. Raggiungemmo la porta del rifugio a corsa per bagnarci il meno possibile; appena entrato rivolsi alla signora dietro al bancone del bar una domanda che anche i tre-quattro uomini a sedere ai tavoli e in preda ai fumi dell’alcool giudicarono stupida: “Sapete se il concerto è stato annullato?”. La signora guardò fuori verso il palco che praticamente si stava autosmontando per il vento e ribattè con un ironico “Dicono di sì”.
Ripresi la strada di Prato, dove ritrovai sole e caldo e dove, sette giorni dopo, seppi che il concerto non sarebbe stato più recuperato. Le speranze di vedere Paola comunque nel corso dell’estate finirono la sera del 15 agosto. Ero a Pinarella di Cervia con la D. e stavo trascorrendo delle splendide vacanze in una palazzina di via Etna (me la ricordo ancora!): tornato dalla spiaggia avevo appena fatto la doccia quando, uscito dal bagno, vidi il volto di Paola in tv all’interno del telegiornale e udii la voce lontana del conduttore che diceva: “.. le condizioni della cantante sono serie ma non sembra correre pericolo di vita”, mentre la foto spariva e il tg proseguiva con un’altra canzone. Non sapevo cos’era successo, non sapevo perché avevano detto quelle cose di Paola e non riuscivo a capacitarmi di quello che era successo. Mi attaccai a telefoni, radio e tv e in pochi minuti seppi dell’incidente in Calabria: chiamai Chiara a casa e non c’era, i miei erano al mare a due chilometri da me e pochi mi potevano aiutare. A otto anni di distanza mi ricordo solo che mi tranquillizzai la mattina del 17 quando, comprando i giornali, lessi per filo e per segno quello che era successo. Nel frattempo avevo già mandato un telegramma a Paola in ospedale a Cosenza: “Ti aspettiamo presto sul palco, Matteo e Chiara”. Non so se l’ha mai letto o se invece i medici hanno preferito non recapitarle niente.

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Al Flog

Ho rivisto Paola per la prima volta dopo l’incidente il 21 febbraio del 1994, quasi sei mesi esatti dopo lo schianto con la Saab: sei mesi di “Ragazze” continuamente nello stereo anche per esorcizzare una situazione particolare. Da ormai tre anni lavoravo a La Nazione di Prato come cronista alle prime armi e qualche amicizia me l’ero fatta. Così quando Paola venne a suonare all’Auditorium Flog di Firenze (posto che avevo sempre evitato in precedenza…) mi presentai con mia sorella ma anche con due colleghi, uno dei quali avrebbe fatto l’articolo sul concerto.
Il locale era proprio come l’immaginavo: buio, scarno e poco interessante e le sagome che Paola aveva fatto sistemare sul palco mi sembrarono un po’ inquietanti. Il concerto doveva ancora iniziare e io presi posto davanti, come sempre, ma non ero tranquillo: ero ansioso di vedere la risposta di Paola alla sfortuna, di apprezzare il suo coraggio e di “verificare” il suo stato d’animo. Non fu un concerto memorabile: la tensione era palpabile e l’atmosfera gioiosa alla quale ero abituato si era persa nell’ambiente buio e nell’acustica rimbombante. Paola si era nascosta la parte destra del volto con un taglio di capelli che non le donava ma che era necessario, come ho potuto vedere quando sono andato nel camerino con mia sorella e i due giornalisti e ho visto il suo volto, che, forse paradossalmente, mi sembrò bello come non mai nonostante le cicatrici.
“Chi si immagina di tornare a vedere un concerto della Paolina (ma sì, ci ha obbligati da sempre a chiamarla così) Turci in stile folksinger potrebbe rimanere profondamente deluso”, scrisse Paolo Pedullà su La Nazione: io non ero certo deluso ma avevo capito che da quel momento in poi Paolina avrebbe lasciato spazio a Paola.
Una ragazza forse più dura di quella che avevo conosciuto ma anche più matura, più.. donna. Non sapevo però se era arrivato anche il momento dei rimpianti per quello che era stata Paola finora.
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Cosa non si fa per un computer

Il 1995 è stato anche l’anno in cui mi sono avvicinato in modo deciso alla tecnologia: il boom dei pc era già scoppiato e io non potevo rimanere escluso da questa corsa alla modernità né per motivi di lavoro, né per quelli di studio (eh sì, perché nel frattempo stavo portando avanti anche la carriera ?! universitaria) né tantomeno per motivi di divertimento.
Dopo decine di preventivi e di negozi visitati era arrivata la grande scelta: un 486 con monitor e scheda audio da ritirare il 6 giugno a Firenze, nel primo pomeriggio. Tutto ok fino a lunedì 5. Nel pomeriggio mi chiama un collega che allora lavorava per Rtl 102.5 e mi dice: “Sbaglio o sei un Turciologo incallito? Domani Paola è a Firenze per presentare il nuovo disco e il concerto in piazza Ss. Annunziata e ho bisogno di una spalla per la conferenza stampa perché io non ne capisco niente. Se ti va bene alle 13 siamo a pranzo con lei..”. Non so chi in redazione rimise a posto il telefono cercando al tempo stesso di bloccare i miei salti…
Il giorno dopo mi presentai superpuntuale al Monkey Business, a due passi da piazza della Signoria: qualche mese prima una bomba mafiosa aveva fatto scempio di uno degli angoli più belli della città e i segni si vedevano anche a poche decine di metri dal ristorante. Il locale era aperto solo per i giornalisti e io, imbarazzato come sempre nelle occasioni particolari, entrai mostrando la tessera e rimasi ad attendere l’arrivo dei colleghi e di Paola. Quando arrivò non fece caso a chi c’era, abituata com’è alle conferenze stampa, e iniziò a stringere le mani ai giornalisti. “Che ci fai qua?” mi disse dopo aver alzato due volte la faccia verso me (alla prima non mi aveva “messo a fuoco”); “il mio lavoro, sono un giornalista” le risposti dicendole per la prima volta che mestiere facevo per pagarmi l’università e i viaggi in mezza Italia per seguire i suoi concerti.
Il pranzo fu uno spasso, anche se fui costretto a fingere di adorare il pesce, visto che Paola era contenta delle specialità del ristorante: la mia pancia rimase vuota o quasi ma passare due ore con lei che rispondeva ai colleghi mi divertì moltissimo, soprattutto quando disse: “A queste cose può rispondere Matteo, che ha visto tantissimi concerti” e tutti si voltarono verso di me proprio mentre stavo cercando qualcosa di commestibile nel contorno del branzino. Il pranzo-conferenza stampa terminò verso le 15 e tutta la comitiva di incamminò prima verso i luoghi della bomba (Accademia dei Georgofili, Uffizi..) e poi verso piazza della Signoria, dove si sarebbero effettuate le interviste per le televisioni. Ma io, alle 16, dovevo ritirare il computer al negozio e, senza considerare il fatto che me l’avrebbero consegnato anche alle 19 (bastava portare l’assegno..), ho lasciato Paola sotto l’obiettivo di Teleregione (l’intervistatrice era Barbara De Pace, che qualche anno dopo sarebbe diventata una delle conduttrici di una delle edizioni di “Fuego” su Italia Uno) e me ne sono andato.
Ripensandoci, a distanza di anni, non ho mai capito come ho fatto ad essere tanto scemo: ho rinunciato ad una passeggiata a Firenze con Paola per un computer…. E per aumentare i commenti poco lusinghieri che starete mentalmente rivolgendo al sottoscritto vi dico anche che al concerto del giorno dopo non sono andato, preferendo andare a Torino per la finale di Coppa Italia Juve - Parma (però abbiamo vinto!!!).

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Scherza coi santi ma lascia stare i fanti

Lo so che il proverbio inverte fanti e santi ma per me il 1996 è l’anno del militare e, di conseguenza, quello in cui mi sono sentito spiritualmente e fisicamente più lontano da Paola. In realtà il distacco era iniziato già nel 1995: per più di un anno non ho visto concerti sia perché da Modena (22 luglio ’95) in poi Paola aveva fatto poco, sia perché la vita di tutti i giorni stava prendendo il sopravvento su un Matteo che aveva scoperto Paola da nullafacente (o quasi) e che adesso stava lottando tra la fidanzata, gli altri interessi, il lavoro e l’Università. Nel 1996, un mesetto dopo il ritorno dalle vacanze a Palma di Maiorca il postino ebbe la bella idea di portarmi la cartolina che mi “invitava” a Udine il 13 novembre per una bella gita di un anno nelle patrie caserme. Vi lascio immaginare la musica di Paola (era uscita la raccolta “Volo Così” 1986- 1996) in stanze invase da Iron Maiden, Vasco Rossi, techno-dance da pasticche e urla inumane di Marilyn Manson: per gustarmela a dovere dovevo prendere le cuffiette e rifugiarmi sulla mia branda o nell’auto del mio commilitone milanese Vittorio, l’unico che disse di ammirare Paola prima che io dicessi a lui di conoscerla. I mesi passavano lenti ma piacevoli in una terra splendida: ero in un reggimento di fanteria semplice di stanza a Cividale del Friuli e nel raggio di cento chilometri c’erano città bellissime da visitare, ristoranti ottimi da provare, agriturismo a prezzi stracciati dove rifocillarsi con le poche risorse economiche messe a disposizione dallo stato (sono ingrassato sette chili e mezzo) ma mancava Paola. Il 1997 arrivò in un battibaleno con i -18 della mattina del 3 gennaio che ricorderò a lungo, sia perché la sera del 2 si era rotta la caldaia e avevamo il ghiaccio sui vetri interni delle finestre, sia perché per ora in vita mia non sono mai sceso così in basso con la temperatura. C’erano però una ventina di gradi quando ascoltai per la prima volta “Sai che è un attimo”: stavo tornando a casa in licenza con l’auto di un ragazzo di Arezzo e la voce che usciva dalle casse aveva un suono familiare, anche se la canzone era sconosciuta. Ovviamente in caserma le pagine di giornale più lette non erano certo quelle degli Spettacoli così non avevo saputo dell’uscita di “Oltre le nuvole”.
Così, appena arrivato a casa per la licenza, andai a comprare la cassetta, che andò a sostituire “Volo Così” nella colonna sonora della mia naja: anche quando, a luglio, per due volte “sfiorai” Paola. A Lignano Sabbiadoro era infatti in programma il Festivalbar e sapevo che Paola avrebbe cantato proprio quando avevamo la giornata libera nel fine settimana: così convinsi gli amici ad andare al mare e rimasi tutto il pomeriggio all’ingresso degli artisti per vedere se arrivava Paola. Niente da fare: non la vidi ma sentii le note della canzone all’interno, gustandomi così i primi cinque minuti “live” da più di un anno a quella parte. Nello stesso mese Paola, che era in tour per promuovere il nuovo album, cantò (o almeno provò) a Firenze, sotto un acquazzone che ridusse il concerto ad una apparizione più breve del solito: io mi ero segnato la data sul calendario perché non volevo mancare. Ma alcuni giorni prima della licenza (già chiesta e approvata.. ormai ero un “nonno” e avevo certi diritti) un soldato di passaggio in caserma venne mandato a dormire nella mia camera: al momento di ripartire, quando io e gli altri dieci ragazzi della stanza eravamo già in servizio, fece le valigie lasciando borse di plastica sparse in camera. Passò il controllo del tenente che, visto il disordine, chiese chi fosse il capo-cameretta per grado. Eravamo tutti soldati semplici e allora la scelta del responsabile cadde sul più anziano per età: ovviamente il fante Matteo Grazzini, che si vide commutata la licenza in tre giorni di consegna in caserma senza poter uscire.
Trovai solo il modo per far arrivare a Paola un biglietto con la mia foto in versione militare, il gatto Isidoro e Sonia (quelli dei fumetti) che ballavano al suono della musica e la scritta: “Questa volta non posso proprio venire”. Lo recapitò mia sorella, che mi telefonò alle 23 per raccontarmi del concerto e della pioggia caduta su Firenze.

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Il mio primo raduno

Il congedo dell’11° scaglione ’96 arrivò il 12 ottobre del 1997 in una caserma di Cormons nella quale mi ero trasferito per gli ultimi quattro giorni da fante. Il 1998 riconsegnò alla società civile (ma anche a quella incivile…) un Matteo più grasso ma libero dagli obblighi militari e così ripresi a pieno ritmo le occupazioni che avevo lasciato un anno prima: la D., la mia squadra di calcio amatoriale, dove avevo perso il posto da titolare, il lavoro di giornalista ma non l’università (dal 1996 ho fatto solo l’esame di inglese… un po’ pochino, no?).
Dovevo riprendere anche il feeling con la musica dal vivo, non solo di Paola, visto che in quel periodo ho “sconfinato” anche nell’Emilia di Luciano Ligabue, che ho seguito in un paio di concerti divertendomi moltissimo. Ma il 1998 lo ricorderò come l’anno del mio primo raduno: in precedenza per impegni vari non ero mai riuscito a partecipare alla “festa di fine anno” con Paola e poi Roma, per quanto vicina a Prato, non è proprio dietro l’angolo. Con il Fan Club che stava funzionando sempre meglio (avevo già avuto altre esperienze con altri fan club di Paola nati all’inizio degli anni ’90 ma mai andati avanti con successo) e con una gestione del mio tempo libero più razionale (in realtà ero libero di sabato perché l’allenatore mi teneva ancora in panchina!!) riuscii a raggiungere Roma il 5 dicembre. Il locale era il Gusto, in pieno centro storico e in una strada che incrocia via del Corso, con tutti i suoi negozi e la sua gente (leggasi ragazze) che passeggia: uno spazio però troppo piccolo per il numero di fans arrivati da tutta Italia. Così mi misi con le spalle alla parete opposta al palco: più lontano da Paola rispetto agli altri ma sicuramente più comodo. Fu un’esperienza bellissima: al Gusto trovai, non più come superiore ma come fan di Paola, il tenente Deiana, che fino a un anno prima mi aveva comandato in caserma, ma trovai anche altri nuovi amici con i quali iniziai a scambiare opinioni su Paola e sul suo mondo. Purtroppo il tempo volò e alle 21 ero già sul treno per tornare a casa, felice comunque di aver rivisto Paola dal vivo e di averla ritrovata felice e bella come la ricordavo.
Ma il raduno fu anche una specie di “canto del cigno” nel mio rapporto con il Fan Club: i soliti disguidi postali impedirono alle lettere inviate da Paola Cossu di giungere nella mia cassetta e, non avendo più notizie del Club, pensai che anche questo fosse finito come gli altri: avevo il numero di telefono per chiamare e chiedere notizie ma, rimanda oggi, rimanda domani, il tempo passò senza che rinnovassi l’iscrizione. Mi persi così il raduno successivo, anche se nel frattempo, ad un concerto a Castelbolognese, alcune ragazze di Milano (una in particolare, ma mi sono ripromesso di non fare nomi) mi informarono dell’attività del Fans Club.

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Non è così che si fa

L’arrivo del 2000 era atteso da tutti come l’evento più importante della storia del mondo. Il conto alla rovescia era iniziato decenni prima e si era finalmente concluso la sera del 31 dicembre 1999. I festeggiamenti non mi coinvolsero più di tanto, quasi mi immaginassi che nel 2000 sarebbero successe cose che mi avrebbero stravolto la vita, sempre che un fidanzamento che finisce possa stravolgere la vita…
Ebbene sì: dopo nove anni la cara D. pensò bene di liberarsi di me in modi e tempi che non sto a raccontarvi. Solo che il 2 aprile ero lo stesso Matteo di sempre (che sia stato questo uno dei motivi della.. rottura?) e la mattina del 3 ero a letto a piangere come un bambino appena nato. La risposta a tutto ciò fu semplice: Juve e Paola a palla. Tanto, ma proprio tanto! Solo una sbornia di passioni poteva cancellare una delusione tanto grande: Salman Rushdie ha detto che la grandezza di un amore si misura dal vuoto che si lascia alle spalle. Io quel vuoto l’ho riempito di gol e note, parate e canzoni, Del Piero e Paola: di spazio libero ce n’è ancora un po’ (non so quanto, non mi volto verso il baratro per controllare) ma quello che è successo dal 3 aprile 2000 in poi mi ha aiutato molto.
Il Fato volle che negli stessi giorni di aprile rompessero il fidanzamento di nove anni anche due amici comuni a me e alla D., così io e l’altro sventurato raccogliemmo i cocci e cercammo di riprendere la vita in modo normale o quasi. Il primo sabato che uscimmo a fare un giretto per le vie del centro di Prato fu anche il giorno dell’acquisto di “Mi basta il paradiso”: mentre il mio amico si stava provando un paio di pantaloni da “cucco” (ne avevamo bisogno, eravamo tornati sul mercato dei singles…) io ne approfittai per aprire la cassetta e leggere i testi delle canzoni. Arrivai a “Non è così che si fa” e pensai che qualcuno mi avesse fatto uno scherzo: il testo era il riassunto di tutte le emozioni che avevo provato in quei giorni tristi e il fatto che fosse Paola a “raccontarle” con la sua voce da un lato mi dava una grande gioia e dall’altro mi obbligava ad una dura lotta intestina. Sapevo che ascoltare quella canzone mi avrebbe riaperto tante ferite (peraltro tutt’altro che chiuse) ma sapevo anche che non avrei potuto ascoltare un album saltando sempre di netto una canzone e privandomi della voce di Paola. Scelsi il “corpo a corpo” violento imponendomi di imparare a mente per prima proprio “Non è così che si fa”, anche se non è facile ascoltare la cassetta e leggere il testo scritto così piccolo con gli occhi che lacrimano.
Il primo round l’ho combattuto e vinto a luglio, alla Festa dell’Unità di Firenze. Paola aveva finalmente iniziato il tour e io mi presentai alla Fortezza da Basso in grande anticipo, incontrando di nuovo la ragazza di Milano e altri fans arrivati nel pomeriggio per cercare di vedere le prove di Paola, cosa che ci riuscì dopo molte insistenze e dietro la promessa di stare buoni e zitti in un angolo. Sapevo che al concerto sarebbe venuta anche D. e io le avevo registrato “Mi basta il paradiso”, scrivendo accanto al titolo di ogni canzone una frase estrapolata dal testo e per me più significativa. Accanto a “Non è così che si fa” scrissi qualcosa tipo “Avrei potuta scriverla io”.
Il concerto fu me-ra-vi-glio-so! Non so se il merito fu del mio stato d’animo, della presenza di molti nuovi amici in prima fila, dell’energia con la quale Paola rimase per due ore sul palco o della bellezza delle canzoni eseguite dal vivo con una scaletta indovinata. L’importante era che avevo ritrovato il famoso “feeling” con Paola e che mi serviva come l’oro un punto di riferimento importante come lei. La cassetta la consegnai a chi di dovere (anche a lei il concerto era piaciuto) ma è stato l’ultimo atto dettato dall’amore che ancora avevo. Arrivò agosto, arrivò il mare di Rodi: il vento smosse nuove sensazioni, che non seppi più distinguere e all’improvviso non resistetti più alle tentazioni e ricominciai a vivere….
Rividi Paola a ottobre al Tenax di Firenze: bel concerto, tanta gente arrivata anche da fuori Toscana e Carmen Consoli sul palco con lei a cantare “Sabbia bagnata”. Fu la sera in cui presentai Paola ad un mio collega e amico che ora lavora a Roma nella redazione di un quotidiano nazionale, ma nel camerino c’erano anche Carmen e la mamma di Paola.
Presentando me e Chiara Paola disse: “Mamma, questi due mi seguono dal 1989!!”. La signora Maria ci guardò e dietro a un gran sorriso e alle presentazioni di rito mi sembrò nascondere un pensiero: “ma come hanno fatto ‘sti pazzi???”

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Grazie ragazzi/e

Siamo già ai giorni nostri ovvero a quelli del tour 2001 e del sito Internet. Due cose apparentemente lontane e diverse ma collegate tra di loro dalla stupenda estate dello scorso anno passata tra concerti bellissimi e coinvolgenti e lunghe nottate in chat. E’ l’anno di Matteo che diventa Peso nella vita virtuale e ritorna Matteo nella vita di tutti i giorni, che passa da Matteo a Peso o viceversa da un minuto all’altro quando è in prima fila ai concerti o al cellulare con i ragazzi e le ragazze della chat.
A questo punto sarebbe bello e giusto dare un nome a tutti coloro che mi hanno riconsegnato appieno il gusto della vita “on the road” per seguire Paola o che mi hanno fatto compagnia nelle sere di maggio, giugno, luglio e agosto tra chiacchiere, pettegolezzi, discorsi seri, problemi da risolvere, consigli da ricevere e da dare. Ma dimenticherei qualcuno che magari non sento o vedo da mesi ma che, a modo suo, può aver fatto o detto qualcosa di importante e allora, come ho spiegato nella prefazione, meglio riunire tutti sotto il nome generico di “fans” per un unico ringraziamento.
La corsa non finisce certo qua. Paola ha in preparazione un nuovo album che ci riporterà per l’ennesimo anno (per me sarà il tredicesimo) sulle strade di mezza Italia per ascoltare la sua voce, vedere il suo volto, nutrirci della sua energia.
Così vi saluto (era l’ora penserete) con un arrivederci e con una serie di cartoline da luoghi e città che ho visitato grazie a Paola e che mi hanno lasciato ricordi particolari.
Per non tediarvi troppo cercherò di riassumere tutto in 100.. 50… 20.. poche pagine, facendo, con lo stile che userò, un omaggio a Maurizio Crosetti, un giornalista che ha scritto un bel libro sulla Juve raccontando trasferte in giro per il mondo!

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Il giro d’Italia

Di Campi Bisenzio vi ho già detto molto: non credo che esistano cartoline di questa città ormai “invasa” dalla comunità cinese più numerosa d’Italia. E’ il posto dove ho conosciuto Paola: penso che come descrizione possa bastare. Campi Bisenzio è la città dell’incontro.

Montefalco è uno splendido paese che mescola arte e storia su un cucuzzolo vicino a Foligno: Paola fece una serata in discoteca cantando pochi brani. Il suo manager era Marsili e aveva uno dei primi telefoni cellulari mai arrivati in Italia. Per farlo funzionare doveva portarsi dietro una batteria grande come una valigetta… Dopo l’esibizione andammo a mangiare al “Coccorone”, un ristorante tipico umbro. “I funghi piacciono a tutti?” chiese Paola. Non potevo fare lo schizzinoso e non dissi nulla. Odio i funghi e non li mangio mai. Per mangiare pasta e carne dovetti scansare con la forchetta decine di porcini senza farmi vedere. Montefalco è la città dei funghi.

Reggio Emilia è stata per anni un punto di riferimento importante nel “programma di viaggio” dei concerti. Tra le prime fans conosciute sotto i palchi c’erano due ragazze di Reggio che portavano ai concerti la loro sorellina (adesso sarà maggiorenne!!). Per puro caso scoprimmo di passare l’estate nello stesso luogo e quindi ci siamo visti anche al di fuori del contesto dei tour. Ci siamo ospitati a vicenda quando Paola cantava in Toscana o in Emilia poi ci siamo pian piano persi di vista, senza un motivo ben preciso. Non le ho più viste né sentite dal 1995 e mi dispiace. Reggio Emilia è la città delle amicizia perdute.

Montecatini ha due momenti importanti: la cena con Paola nella pizzeria della discoteca Area in compagnia ancora di Marsili e dei proprietari del locale e il concerto al teatro Verdi alcuni anni dopo. La prima volta ero più giovane e sbarazzino, la seconda sono entrato in teatro con l’accredito da giornalista e vestito in giacca e cravatta: non potevo cantare a squarciagola o battere le mani. Soffrii tantissimo per mantenere una immagine decorosa per la categoria e, quando andai nel camerino a presentare Paola a un’amica di D., lei, che senza che me ne fossi accorto mi aveva guardato durante il concerto, mi disse: “te non ti saluto perché sei stato tutta la sera fermo come un babbeo”. Montecatini è la città della presa in giro.

A Imola sono stato due volte a undici anni di distanza. Come se il tempo non fosse mai passato il divertimento è stato lo stesso. Nel 1990 per la prima volta vidi cadere delle transenne a un concerto di Paola tanto era l’entusiasmo del pubblico. Nel 2001 ho trovato lo stesso entusiasmo e ho conosciuto tanti nuovi amici della chat ma non solo. Imola è la città del divertimento.

Dopo il concerto di Ferrara nel 1991 ho fatto la foto con Paola che conservo più volentieri. Siamo abbracciati mentre Chiara ci fa la foto e ridiamo perché qualcuno disse che la D. sarebbe stata gelosa di quella immagine. La foto scattata da Chiara non ha mai visto la luce, anzi ne ha vista troppa perché il rullino si rovinò cancellando tutti gli scatti. Per fortuna una delle ragazze di Reggio Emilia aveva scattato la foto all’insaputa di tutti e me la mandò per posta, facendomi una sorpresa stupenda. Ferrara è la città della foto ritrovata.

Ore di auto per niente nel 1989. A Faenza trovai ad aspettare me, mia sorella e i miei genitori un temporale di fine estate che si abbattè sul palco alle 18. I miei erano venuti per il concerto e per il museo della ceramica, io e Chiara solo per il concerto, che ovviamente fu annullato. Per fortuna riuscimmo a dare a Paola, con qualche giorno di anticipo, il regalo per il suo venticinquesimo compleanno: una cornice con l’ingrandimento di un foto scattata a Castelmaggiore a luglio. Faenza è la città del primo concerto annullato.

A Chiusi ho visto per la prima volta Paola in gonna. Il vestito con il quale fece le prove e le foto con me e Chiara nei giardini pubblici che ospitavano il palco rimarrà per sempre nella mia memoria. Le foto sono un po’ buffe ma simpatiche e fa sempre un effetto strano vedere Paola con quella specie di prendisole. Chiusi è la città della gonna larga.

Credo che la lista possa terminare qua, anche perché ogni luogo mi ricorda qualcosa di importante o di particolare e allora dovrei stare a scrivere giorni e giorni. Non so quali di queste città avete visto e quali vedrete seguendo Paola o il vostro spirito turistico: ne aggiungo altre a casaccio come Ravenna, Pisa, Livorno, Forlì, Piacenza, Chiavari, Bientina, Bologna, Marghera, Roma, Milano….
Se ci passate pensate a Paola e a questo piccolo racconto e sorridete: avrò e avrete raggiunto già un primo importante obiettivo.

Paola Turci per sempre, Matteo.

E ora tocca a voi e ricordatevi che se utilizzate il conto corrente postale (ccp) indicate oltre al numero anche la denominazione e l’indirizzo dell’associazione o dell’ente.
In rigoroso ordine… sparso:

· Wwf Italia
Associazione italiana per il Wwf, via Po 25/C Roma.
Ccp 323006 (indicare la causale e la data di nascita per iscriversi)
· Save the children Italia
Save the children Italia, via Gaeta 19 - 00185 Roma.
Ccp 43019207
C/c 11462 Credito Italiano Ag. 4 Roma. Abi 2008, Cab 3204
· Admo – Associazione donatori di midollo osseo
Admo Federazione Italiana, Via Aldini 72 - 20157 Milano
Ccp 44099208
C/c 20524/1 Intesa BCI Ag. 39 Milano. Abi 03069, Cab 09546.3
· Enpa
Ente nazionale protezione animali – Roma
Ccp 94304003
· Avis
Associazione volontari donatori sangue
Numero verde 800-261580
· Banco Alimentare
Ccp 28748200
C/c 26715 Banca Popolare di Milano. Abi 5584, Cab 20400
· Telefono Azzurro
Telefono Azzurro, via Montebello 2/2 – 40121 Bologna
Ccp 550400
C/c 47000 Rolo Banca Sede Bologna, via Rizzoli. Abi 03556, cab 02400
· Lipu
Lega Italiana protezione uccelli – Parma
Ccp 10299436
· Greenpeace
Associazione Greenpeace, via Gelsomini 28 – 00153 Roma
Ccp 67951004
· Italia Nostra
Italia Nostra, via N. Porpora 22 – 00198 Roma
Ccp 48008007
· Emergency
Emergency, via Bagatta 12 – 21021 Milano
Ccp 28426203
C/c 67000 Banca Popolare di Milano, p.zza Meda. Abi 5584, Cab 01600
· Amref – African Medical Research (basta poco, che ce vò)
Amref Italia, via Settembrini 30 – 00195 Roma
· Croce Rossa Italia
CRI, via Toscana 12 – 00187 Roma
Ccp 300004
C/c 218020 BNL – Tesoreria Roma Centro.

Sono pochi? Sì, lo sono. Ma se volete cercare su Internet basta un motore di ricerca e la parolina magica Volontariato.
Grazie.