Signore e signori vi presento... mia moglie.
E' lei (che dovrei lodare e coccolare, ma con il carattere chiuso che ho...) che ha scritto il racconto  della nostra luna di miele negli Usa. Riprendo fedelmente il suo racconto dal blog che si è creata: le impressione sue sono state spesso anche le mie, con una sola grande divergenza, Las Vegas, mito per me, mezza delusione per lei.
Ecco a voi il racconto di Ketty.

Viaggio di nozze negli Stati Uniti (3-16 agosto 2009)

Per la nostra luna di miele negli Usa io e Matteo abbiamo scelto sei tappe: New York, San Francisco, Las Vegas, Bryce Canyon, Grand Canyon, Los Angeles.

Dallo stato di New York alla California per poi trascorrere dei giorni indimenticabili nello Utah e in Arizona.

Ci siamo spostati in aereo e in auto ma abbiamo prediletto soprattutto le lunghe camminate a piedi, nella consapevolezza che ad ogni dolore muscolare e vescica sotto i piedi corrisponde una visione più autentica dei panorami e dei volti incontrati. Passo dopo passo, lentamente, ci siamo immersi in apnea nell’aria elettrizzante della Grande Mela, nell’atmosfera creativa di “Frisco”, nelle vastità perdifiato dei canyons fino all’ultima turistica scorribanda sulla passeggiata delle stelle, la Walk of fame di Los Angeles.

Sono tornata a casa carica di simpatia verso i popoli di queste terre e soprattutto con il benessere generato dal senso della libertà che si respira in generale negli USA.

Gli americani sono certamente “megalomani”: altezza vertiginosa dei palazzi e dei ponti, porzioni enormi di bevande e cibo, televisioni con più di 100 canali non a pagamento, automobili di misura eccessiva per affrontare il traffico intenso delle metropoli, in ogni negozio molte (troppe!) varianti di ogni genere di conforto (decine di varietà di succhi di frutta, caffè freddi, acqua, modelli di scarpe ed abiti) tutto così esagerato da far girare la testa!

Mi sono convinta, peraltro, che questo connotato della “personalità” degli statunitensi sia influenzata dalla natura circostante caratterizzata da vastità quasi senza orizzonte. Le ore più emozionanti le ho trascorse in auto sulle strade dell’Arizona, del Nevada e dello Utah dove si susseguono deserti, paesaggi lunari, altipiani brulli sconfinati e montagne rocciose imponenti. Vivere in luoghi del genere non può che alterare il proprio senso delle dimensioni con inclinazioni verso la grandiosità.

E tuttavia questo essere “megalomani” non ha destato in me un senso di soggezione poiché è spesso accompagnato da una piacevole cortesia nelle relazioni interpersonali. Negli USA è assolutamente consueto che i cassieri dei negozi, ti rivolgano, oltre al saluto, la domanda gentile “Buongiorno, ragazzi, come state?”; che un passante intento a fare jogging al parco ti incontri e ti sorrida;  che gli ufficiali di sicurezza all’aeroporto, leggendo sul tuo volto lo stress da attesa, scambino con te una battutina per sdrammatizzare; che il passante, vedendoti in difficoltà con una cartina in mano per strada, si fermi offrendoti il suo aiuto o, intuendo che sei un turista, ti chieda se hai voglia di una foto.

E se a Manhattan ci è capitato che il giovane passante fosse stato così disponibile per il secondo fine di promuoverci un proprio servizio, a San Francisco la gente era mossa da spontanea benevolenza.

Ecco allora, la descrizione dei luoghi visitati e delle impressioni raccolte. Mi sarebbe piaciuto dare indicazioni anche sui prezzi degli hotel ma non li conosco poiché per le prenotazioni abbiamo acquistato il pacchetto da un’agenzia viaggi.

New York

(hotel Jolly Madison towers, 22 east 38th street; voto: 7, albergo “italianissimo”, ottima colazione)

In tre giorni abbiamo esplorato palmo a palmo Manhattan, camminando circa sette ore al dì.

Manhattan, il cuore pulsante di New York, è molto estesa e percorsa ogni giorno da milioni di persone e veicoli eppure è inaspettatamente vivibile. Quel che più mi ha stupito non sono state le attrazioni turistiche (Empire State Building, Statua della libertà, Rockefeller center ecc. ecc.) che, in fondo,  i mass media ci aiutano a conoscere anche stando comodamente seduti sulla poltrona di casa. Mi hanno sorpreso, piuttosto, alcuni angoli di strada colorati, alcuni piccoli scorci in cui antico e moderno si abbracciano e certe piazze di verde rigoglioso che spuntano, all’improvviso, dietro il cemento.

Un cenno ai luoghi che mi hanno colpita.

Lungo la Broadway

Deliziosi i giardini di Madison Square Park, un punto verde circoscritto da una serie di grattacieli a Sud di Manhattan, dove i lavoratori  vanno a consumare serenamente il pranzo e i bambini possono giocare con i propri cani o si trova qualcuno a leggere un libro lanciando ogni tanto uno sguardo all’attraente Flatiron Building. Mi trovo d’accordo con l’attrice Katherine Hepburn, la quale, a proposito del Flatiron, ebbe a dire che le sarebbe piaciuto essere ammirata almeno quanto questo palazzo stile beaux-arts, dalla forma stravagante, alto 20 piani, triangolare come la prua di una nave.

Lo stesso tipo di accoglienza di Madison Square è riservato dalle panchine di Union Square, situata più a Sud, sulla Broadway street. Proprio qui abbiamo deciso di prendere la metropolitana per raggiungere la lower Manhattan.

Due paroline sulla subway: sarebbe del tutto simile alle metropolitane di altre città europee se non fosse per il fatto che si snoda sotto la città come la più intricata delle ragnatele. All’inizio è difficile orientarsi, anche perché sugli stessi binari è ben possibile che passino treni diretti verso posti diversi e fra loro lontani. Ci avevano detto che non si trattava di un posto sicuro ed invece abbiamo incrociato gente di ogni estrazione sociale con la certezza di avere sempre qualche poliziotto alle spalle pronto a intervenire nelle emergenze.

A proposito della polizia, sottolineo che non ho mai visto in giro tanti agenti come a Manhattan. Per le strade era un andirivieni di due colori prevalenti: il giallo degli innumerevoli taxi e il bianco-celeste dei veicoli della polizia che peraltro variano, curiosamente, dalla forma inconsueta di un’ape a tre ruote alle auto di grossa cilindrata, ai camion multi accessoriati.

Ground zero e San Paul’s Chapel

La vista del cantiere montato sul luogo che dava le fondamenta alle torri gemelle non suscita tante emozioni quanto la cappella di San Paul. Esteticamente questo luogo sacro non è un granché ma le sue pareti, dopo l’11 settembre 2001, hanno raccolto la polvere pesantissima del crollo, i gemiti dei feriti, i giacigli dei soccorritori. Ed ora accolgono una mostra permanente delle foto, degli oggetti e dei messaggi d’amore che rappresentano i giorni successivi alla tragedia. E’ possibile condividere la commozione che ti penetra alla vista di tutto ciò, inviando gratuitamente una cartolina elettronica ai propri cari dal computer messo a disposizione nella cappella.

Wall street

Ci aspettavamo di trovare un pullulare frettoloso di traders in giacca e cravatta e invece anche a Wall street, fra palazzi rinascimentali, templi in stile neogreco e grattacieli, abbiamo assistito a scene di relax. Sotto l’enorme bandiera a stelle e strisce che sventola all’ingresso della Borsa (New York Stock Exchange) sono collocati i tavolini dove i newyorkesi consumano il brunch e, a un tiro di scoppio, c’è un intero isolato in mattoni rossi, fatto di piccoli negozi e locali con i tavoli all’aperto letteralmente gremiti di gente. In giornate di sole come quella in cui siamo capitati noi, non c’è da annoiarsi neppure nel quartiere finanziario.

Staten Island Ferry

E’ solo una stazione di battelli che conducono dalla lower Manhattan a Staten Island ma bisogna riservarle tre note di merito: 1. i battelli sono gratuiti 2. dal battello si gode di una splendida vista di Manhattan e delle isole vicine  3. all’imbarco si susseguono code di centinaia di persone che si smaltiscono in soli quindici minuti.

Sono motivi sufficienti per scegliere di attraversare il fiume Hudson con questo mezzo piuttosto che affrontare file interminabili sotto il sole e montare su un affollato traghetto diretto verso Ellis Island o la Statua della libertà. Nessun rimpianto per non aver toccato “Miss Liberty” poiché la stessa si lascia ammirare nella sua eleganza e in tutti i suoi profili anche dai pontili del traghetto arancione di Staten Island Ferry mantenendo, da quella distanza, il fascino dei miti.

South Street Seaport

Percorrendo la costa dalla stazione di Staten Island Ferry verso nord, lungo l’East river, si giunge in questo posto dall’aspetto stridente col contesto di Manhattan. E’ un insieme di isolati fitti di negozi che sfocia verso un piccolo porto dove sono attraccati vascelli d’epoca e verso un centro commerciale coloratissimo sito sul molo. Si respira atmosfera fresca di mare e gli artisti di strada conferiscono alla passeggiata un’aria scanzonata. Nelle vicinanze c’è un punto vendita dei biglietti degli spettacoli di Broadway dove abbiamo acquistato i tickets per il meraviglioso musical “Chicago”.

Il ponte di Brooklyn

Da South Street Seaport abbiamo scattato la prima classica foto del ponte di Brooklyn inondato dalla luce dorata del tardo pomeriggio. Il giorno dopo l’avremmo rivisto di sera costellato dalle mille luci dei lampioni. E proprio ai piedi del ponte, nel quartiere di Brooklyn, ho trascorso una delle serate più romantiche della mia vita. Mio marito, infatti, aveva prenotato la cena in un ristorante a lume di candela, affacciato sul fiume e con vetrata sul ponte e sulla Manhattan irrorata delle luci notturne. Se è vero che il contesto influenza i sentimenti, posso dire che se non fossi già stata innamorata, di sicuro sarei stata conquistata definitivamente da M. quella sera. Il ristorante è “The river cafè" , 1 Water Street, Brooklyn, NY 11201. Agli uomini è richiesto abbigliamento formale ma, in caso di dimenticanza nessun problema poiché c'è sempre qualcuno dello staff del locale disposto a prestare una giacca.

Times Square

Bisogna andarci sia in pieno giorno che di sera. In entrambi i casi è caotica e occorre sgomitare un po’ per attraversare le strade piene di gente. In entrambi i casi ricarica di energia emotiva. Di giorno è tutto un via vai di turisti seduti ai tavolini per uno spuntino o impegnati nel pazzo shopping dei mille souvenirs. Di sera è uno scintillio di luci degli enormi cartelloni pubblicitari degli spettacoli di Broadway e dei locali circostanti. Per comunicare a volte bisogna alzare la voce ma quel brusio di voci di migliaia di persone è pieno di vita.

E se si vuole ritornare bambini (ammesso che si sia veramente cresciuti!) non può mancare la passeggiata nel tempio dei golosi, un grande magazzino interamente dedicato agli Smarties. Non ho potuto non immortalare il volto soddisfatto di mio marito che si riempiva le mani di confetti colorati zampillanti da fontane di smarties! L’unica nota di irriverenza erano forse le piccole sculture di smarties a forma di Statua della libertà - povera Miss Liberty! - ma per il potere della cioccolata si può ben perdonare!

Il MOMA

Tappa obbligatoria per chi ama l’arte o vuole iniziare all’arte un profano.

E’ un museo moderno, dalla struttura sobria, sale grandi e pareti bianche, un contesto che lascia il ruolo di assoluta protagonista all’opera. Impossibile non essere rapiti dai colori e dalle forme dei Matisse, Van Gogh, Mirò. Impossibile non commuoversi dinanzi ai quadri di Frida Kahlo. In particolare, l’autoritratto che l’autrice volle collocare accanto ad uno specchio delle stesse dimensioni. Donando entrambi ad un’amica, Frida le disse pressappoco così: “Se ti specchierai accanto a me, noi saremo sempre insieme”.

Notevoli anche le installazioni di arte contemporanea, per esempio la grande riproduzione dei mercatini dell’usato e degli oggetti recuperati dai rifiuti della Cina di qualche decina di anni fa. Incomprensibili e per questo meritevoli della più divertente ironia, le opere contemporanee, una su tutte  la surrealistica tazza ricoperta di pelo di Meret Oppenheim… vedere per credere…

Top of the Rock

Per godere dello sguardo sintetico della città, possibile solo nell’altezza, abbiamo scelto il Top of the Rock presso il Rockefeller center. Superluminoso, anche grazie ai cristalli di Swarovski che fa da sponsor; supermoderno, con l’ascensore che sale ad una velocità di circa un piano al secondo! Dalla terrazza si ha una stupenda visione del panorama. Tra l’altro è possibile scattare quelle foto divertenti in cui dai all’obiettivo l’illusione di toccare con un dito la punta dell’Empire State building e poi ammirare, in tutta la sua rigogliosità, il Central Park.

Central Park

Un polmone verde vastissimo e ricco di tappe rilassanti: laghi dove puoi giocare con piccole barche a vela telecomandate, laghi che puoi attraversare con barchette a nolo, angoli dedicati alla lettura delle favole di Hans Christian Andersen, viali dove puoi andare a salutare Shakespeare o rendere omaggio a John Lennon. Il parco è suggestivamente percorso da carri trainati da cavalli, taxi gialli e risciò rossi condotti da giovani in bicicletta. Avendo poco tempo a disposizione, abbiamo fatto il giro guidato del parco sul risciò di un giovane africano che ci ha mostrato i luoghi più belli e ne ha approfittato per raccontarci la sua storia di studente emigrato negli Usa per terminare gli studi da commercialista. La ciliegina sulla torta, in un viaggio, è ascoltare le storie della gente. Il giovane ha speso qualche buona parola persino per il Bronx che, al momento, sembra il quartiere più pericoloso di New York dopo che un recente processo di ricostruzione ha rilanciato positivamente Harlem.

Grand central terminal

Generalmente le stazioni sono luoghi di passaggio dei turisti e non mete da visitare. Grand Central terminal non è una stazione come le altre. Stile beaux-arts, elegante e luminosa, conquista con le volte affrescate di stelle, stavolta non solo quelle dell’immancabile bandiera americana ma soprattutto quelle delle costellazioni dipinte. C’è il rischio che per trovare il proprio segno zodiacale sulla volta o per ammirare le grandi vetrate e gli eleganti candelabri, si alzi troppo lo sguardo andando a inciampare in qualche viaggiatore. Dovevano pensarci prima di costruire una stazione così bella!

Queens

Vi abbiamo trascorso uno dei pomeriggi più “cinematografici” di tutto il viaggio grazie ai nostri zii che vi abitano da ormai 45 anni. Dopo aver attraversato una serie di strade a sei corsie fra auto automatiche di grossa cilindrata, siamo arrivati in un posto delizioso a dieci minuti dal JKF Airport, affacciato sulla Jamaica Bay. Che dire… proprio come nei films! I miei zii abitano in un quartiere residenziale fatto di ampi viali verdi sui quali si susseguono le ville monofamigliari, dotate di autonomo giardino e piscina con mega auto parcheggiata dinanzi all’uscio di casa.

E’ una zona di emigrati, soprattutto italiani, che hanno fatto fortuna negli Usa in un periodo, 50 anni fa, in cui un povero falegname straniero poteva fare carriera ricorrendo a null’altro che alla propria abilità e al proprio impegno, pur masticando un goffo inglese e non conoscendo nessuno. Ci sono anche dei ristoranti di proprietari italiani, qualcuno vocifera che siano di mafiosi… in ogni caso il servizio è ottimo e si mangia bene!

San Francisco

(hotel Handlery Union Square: 351 Geary Street, voto; 6 che diventa 7 per la sua posizione centrale)

San Francisco è entusiasmante.

E’ una città che fa respirare a pieni polmoni. La prima sensazione, confermata dalla conoscenza, è che a “Frisco” ci sia un posto accogliente per tutti. Sembra che ogni genere del genere umano vi abbia un nido: il quartiere degli artisti, il quartiere gay, il quartiere dei punk, il distretto finanziario, le chiese e le associazioni di ogni credo, Chinatown, il quartiere italiano e via dicendo.

Dal punto di vista territoriale è collocata su tanti colli che in effetti non sono che la metafora del suo essere: salite ripide che ne rappresentano gli eccessi, strade sinuose che ne delineano i suoi tratti un po’ femminili, dolci e trasgressivi.

I colli e il mare, la baia luminosa da una parte e il Golden Gate avvolto nella nebbia dall’altra, il tutto calato in un clima estivo mite, mai troppo caldo.

E’ difficile per me descrivere i posti e i particolari che hanno fatto breccia nella mia fantasia e nel mio cuore, primo perché sono tanti e secondo perché, per quanto mi è piaciuta, ogni aggettivo mi sembra inadeguato. Ci provo.

North Beach

Sulla maggior parte dei quartieri di San Francisco potrei scrivere che si tratta di un posto “delizioso”.

Comincio da North Beach, lambito dalla bella Columbus Ave, una strada piena zeppa di localini, uno più al-legro e affollato dell’altro. Qui l’italiano è di casa, con i ristoranti e i caffè. E siccome il simile conosce il simi-le, non era strano che i proprietari, vedendoci passare, si rivolgessero direttamente a noi con un italianissi-mo: “Ragazzi, come state? Che desiderate mangiare?”.

Per questa volta abbiamo resistito alla tentazione di fermarci a mangiare dai connazionali, soprattutto per-ché eravamo tutti presi dalla curiosità di svoltare l’angolo e vedere la prossima stradina. Che case da favola! Case non molto alte, al massimo due piani, una diversa dall’altra, tutte color pastello e con decorazioni che sembrano dei merletti. Penso di non aver mai fotografato tante case in vita mia. Sono così graziose che immagini che dietro quelle porte e quelle finestre ci sia sempre un bimbo che gioca o due amanti che si coccolano. Tra l’altro sono buffe perché sono così fitte da raggiungere, anche nelle strade non proprio lunghissime, delle numerazioni eccezionali, fino a 2000-3000; ed è frequente che, a distanza di venti centimetri l’uno dall’altro, vi siano gli usci di case diverse, una consecutiva all’altra “1911, 1913,1915” ecc.

Il libro-guida che consultavamo ci diceva che in questo quartiere, presso la Filbert street, avremmo trovato dei pappagalli svolazzanti, liberi. Purtroppo non ne abbiamo incontrati ma neanche per un momento abbiamo dubitato che potessero esserci in quanto, in strade così tranquille, certamente possono coesistere uomini e animali esotici liberi.

Coit tower

Per visitare Frisco occorrono un paio di scarpe comodissime e un po’ di fiato. E’ vero che non è vastissima tuttavia è pur vero che si snoda su salite e discese. Le prime strade ripide affrontate sono state quelle per raggiungere Coit Tower, un monumento (non tenuto benissimo, per la verità) che domina North Beach, dedicato ai pompieri. E’ una torre caratterizzata da affreschi che fanno compagnia a piano terra durante l’attesa dell’ascensore e da una piccola terrazza in vetta dalla quale si gode di una vista completa sul quar-tiere finanziario e sul Fisherman’s Wharf. Stupendo il panorama in prossimità del tramonto.

Financial District

Modernissimo, acciaio su acciaio e vetrate su vetrate, si sviluppano i grattacieli che non hanno nulla da in-vidiare ai “cugini” di New York. Tra tutti i palazzi spiccano l’enorme sede della Bank of America e un originale e slanciato grattacielo a forma piramidale, il Transamerica Pyramid. Presso l’Embarcadero center ci siamo concessi un giro sugli ascensori del lussuoso Hyatt Regency Hotel, realizzati con le pareti in vetro trasparente che si affacciano direttamente sulla raffinata hall dell’albergo.

Fisherman’s Wharf

Dopo mezzora di passeggiata in questo posto avviluppato tra mare, giostre e negozi, mi è sembrata di essere tornata bambina. Ideale per chi trova frizzante l’aria di mare e non si stancherebbe mai di gustare il profumo dei granchi appena cotti.

Il Pier 39 è un grande molo di legno che accoglie ristoranti strapieni di gente e i negozi più strani come la boutique per soli mancini, il negozio del mago Houdinì, un negozio straordinario che vende a peso d’oro maglie, palloni, palle da baseball, foto e tanto altro recanti l’autografo dei grandi campioni sportivi, un pa-radiso dei collezionisti. Diciamo che è impossibile essere di cattivo umore in un posto così e, comunque, se anche dopo un giro fra le sgargianti bancarelle per caso non fosse tornato il sorriso, sarebbe sufficiente affacciarsi sul porticciolo e ammirare i pacifici leoni marini nel porto per ritrovare la leggerezza dei pensieri. Veramente buffi! Mentre centinaia di turisti li fotografano e tante barche lambiscono le loro tane nel porto, i leoni marini se ne stanno pigramente accatastati l’uno sull’altro a prendere il sole. Qualche volta bisticciano per assicurarsi il posto migliore sulle passerelle di legno galleggianti nell’acqua e allora scrosciano risate nel vederli spingersi goffamente a vicenda.

Per gli appassionati dei videogiochi di ogni tempo, al Fisherman’s Wharf c’è il Musée Mecanique che raccoglie giochi funzionanti dell’inizio del secolo scorso e degli anni più recenti. L’ingresso è libero sicché la domenica il museo è tappa ricercata dai bimbi accompagnati dai papà o forse sarebbe meglio dire dei papà accompagnati dai loro bimbi…

Molto divertente è la visita all’acquario di San Francisco che su tre livelli dà ospitalità a innumerevoli specie di pesci variopinti, polpi giganti, stelle marine e granchi. Alcuni corridoi del museo conducono attraverso le vasche di vetro trasparente per cui si ha l’illusione di nuotare fra i pesci potendo avvicinarsi senza pericolo persino agli squali.

Haight

Vale la pena di passeggiare nella zona di Lower Haight e di Upper Haight, nonostante ciò comporti la fatica di “scalare” strade in pendenza. E’ stato il quartiere della trasgressività degli anni ’60 e di quei tempi con-serva i colori, i negozi di sostanze stupefacenti, le boutique dei vestiti decorati a tie-dye. La marijuana da queste parti si fuma e fa da “modella” per tanti gadgets, ivi compreso il gioco degli scacchi le cui pedine raffigurano le sue foglioline. Ci sono delle case dalle tinte e dalle decorazioni deliziose. Per non parlare dei colori delle “creste” in capo ai giovani punk.

Golden Gate Park

Quattro ore per attraversarlo. Vastissima oasi di verde di 441 ettari che assume i connotati più diversi: e-norme prato area di pic-nic, grande campo sportivo, area per i bisonti (anche se noi non siamo riusciti a ve-derli), giardini esotici come quello giapponese, area espositiva con interessanti mostra d’arte ecc. ecc. Ci siamo stati di domenica per cui abbiamo incontrato una buona fetta della multirazziale gente di San Franci-sco nel suo umore più rilassato. Presso il mulino a vento, nella parte a nord vicina al mare, abbiamo anche assistito ad un allegro servizio fotografico dedicato a due spose, apprendendo, in quell’occasione, che la California ammette i matrimoni fra omosessuali.

Il Golden Gate Park è da visitare, se non altro perché dà la misura di come è possibile e stupendo il connu-bio fra il verde e la città, l’uomo urbano e la natura.

Golden Gate Bridge

Nel 1937, quando fu ultimato, era il ponte a sospensione più lungo del mondo, circa 3 Km.

In sé e per sé è già suggestivo per le sue dimensioni vertiginose e quel colore vivo che rifulge nella baia.

Se poi capita di vederlo avvolto nella nebbia, è ancora più affascinante.

L’abbiamo raggiunto prendendo il bus nei pressi dell’uscita del Golden Gate Park e poi facendo a piedi gli ultimi tre Km sul colle. Seguendo il percorso per i pedoni, naturalmente in salita, si visitano i lugubri luoghi che ospitavano le vedette militari nel secolo scorso e si può restare a bocca aperta guardando il mare che spumeggia una cinquantina di metri a strapiombo sotto il sentiero. Alle vertigini dell’altezza si è aggiunto, quel pomeriggio, un clima divenuto repentinamente autunnale, con vento freddo e nubi grigie che ci investivano in pieno. Ed è stato camminando nella nebbia che, all’improvviso, ci è sembrato di scorgere qualcosa di arancione dinanzi a noi: eccolo, quasi fosse stato un fantasma, il ponte dei ponti, il mitico Golden Gate Bridge.

L’aspetto curioso è che la nebbia lo ammanta spesso persino quando il resto della città di San Francisco è del tutto assolata. Ne abbiamo avuto dimostrazione il giorno dopo, avvistando il ponte da Alcatraz, dal centro della baia. Per l’appunto era una giornata di sole che mostrava a sinistra, distintamente, la città, e a destra, in una sciarpa nebbiosa, il ponte. E’ senz’altro una caratteristica che reca al ponte un tocco di ammaliante mistero.

Sul ponte ci sono corsie per auto, per soli ciclisti e per pedoni. Tutte scosse dalle vibrazioni un po’ inquie-tanti del traffico. Noi ci siamo andati a piedi e a un certo punto ci siamo stretti forte la mano poiché ci sia-mo resi conto di essere sospesi a 70 metri sul livello del mare senza eccezionali barriere protettive al nostro fianco. Sapevamo che il ponte è uno dei posti prediletti per i suicidi e ne abbiamo capito il motivo. Qualcuno ha calcolato che lanciarsi da quell’altezza significa raggiungere l’acqua ad una velocità di 120 Km all’ora, con morte quasi certa all’impatto. Brivido…

Marina e Presidio

Per tornare dal Golden Gate Bridge al centro della città, abbiamo camminato per un tratto fino a scorgere, nelle ex zone militari di Marina e Presidio, l’incantevole spiaggia di Crissy Field. Adagiata accanto al mare, c’è questa spiaggia enorme luogo di relax per gli abitanti di San Francisco amanti della spiaggia e degli aqui-loni. Si raggiunge anche in bus (non sempre puntuale) che fa tappa anche nella parte residenziale di questo quartiere una volta abitato dai militari, un quartiere molto bello, fatto di case circondate da aiole verdissime.

Civic center

Deve essere bello occuparsi dell’amministrazione della città se al mattino devi recarti al lavoro in un palazzo municipale bello come il City Hall di San Francisco. E’ un palazzo neorinascimentale con una cupola lucente simile a quella di San Pietro in Vaticano, posto di fronte ad una piazza ariosa dove i cittadini vanno a trascorrere i momenti ludici. Fra gli altri spazi sulla piazza si trovano il recinto delle giostre contrassegnato dal cartello “Vietato l’ingresso agli adulti non accompagnati dai bambini”. Ci sono poi due viali alberati dove si riuniscono i cittadini che professano il buddismo, per eseguire, a suon di musica, le pratiche di risveglio del corpo e dell’anima. Fra un esercizio e l’altro qualcuno di loro si avvicina ai passanti consegnando loro, con discrezione, un bigliettino dell’associazione che così recita: “Il mondo ha bisogno di: verità, compassione e tolleranza”.

Chinatown

La Chinatown di New York non regge il confronto con quella di San Francisco. Quest’ultima è più grande, più ordinata e pulita e passeggiando fra le stradine non si sente quell’odore acre di cibo, diffuso nel quartiere cinese di New York. Possiede un ingresso “monumentale” che la separa idealmente dal resto della città, una porta sormontata dai tipici tetti a pagoda delle case cinesi. Si situa sui colli in una certa armonia architettonica con i quartieri circostanti. Ci è sembrata un po’ buffa la sede della Bank of America, un edificio ricoperto di scritte in cinese, con i tetti a pagoda e i simboli del drago, che di americano aveva solo l’insegna. Per il resto è una successione di negozi con mille articoli, dall’antiquariato cinese ai souvenirs americani dai prezzi accettabili.

Grace cathedral

E’ una cattedrale degna del nome che porta, davvero piena di grazia. In stile gotico, con due torri slanciate, un bel rosone e vetrate colorate, domina sull’elegante zona delle Russian Hill e Nob Hill. Accoglie una co-munità anglicana episcopale che coinvolge la città in opere di sostegno ai più poveri ed offre opportunità di riflessione e preghiera anche grazie ai labirinti presenti fuori e dentro la chiesa. Si tratta di due percorsi labirintici raffigurati sul pavimento che rappresentano il sentiero interiore dalla consapevolezza di sé all’incontro con Dio. All’interno della chiesa c’è una splendida cappella interconfessionale, con i simboli di tutte le religioni e i credi, dedicata alle vittime dell’AIDS. Io e M. ci siamo stati di domenica, partecipando volentieri alla celebrazione eucaristica presieduta da una bellissima sacerdotessa che, a conclusione del rito, si è fermata davanti all’uscio della cappella per stringere la mano ai fedeli.

Alcatraz

Qualcuno dice che l’isola di Alcatraz non abbia un grande valore turistico. Ed invece per me e M. è una tap-pa da non perdere. Non solo per chi in passato si è appassionato alla visione del film “Fuga da Alcatraz” ma in genere per tutti coloro che si domandano come possa essere la vita di un criminale in un carcere di massima sicurezza. Per conoscere al meglio Alcatraz è consigliabile seguire il percorso guidato ascoltando la voce narrante dell’audioguida (a ciascun turista è consegnata l’audioguida nella propria lingua madre) che conduce verso un microcosmo terrificante. Le celle in cui trascorrevano anni i criminali più efferati erano minuscole e prive di qualsiasi forma di riservatezza. Basti dire che il famigerato articolo n. 5 del regolamento consegnato a ciascun detenuto così recitava: “Avete diritto a buon cibo, vestiti puliti e assistenza sanitaria. Tutto il resto consideratelo un privilegio”. Erano un privilegio ottenere un libro da leggere, ricevere visite e persino andare a prendere una boccata d’aria fresca nell’atrio recintato. Non a caso qualche detenuto ha tentato la fuga affrontando il rischio di essere fucilato all’istante dalle guardie o di essere divorato dagli squali dell’oceano.

Dall’isola di Alcatraz si ammira un gradevole panorama di San Francisco, tutta sinuosa sui suoi colli tagliati geometricamente dalle lunghe strade parallele e inoltre si può salutare in tutta la sua bellezza il Golden Gate.

Las Vegas

(hotel prima notte: Bellagio hotel, 3600 Las Vegas Boulevard; voto: 10 e lode; hotel della seconda notte; Planet Hollywood, 3667 Las Vegas Boulevard; voto: 9)

Las Vegas è l’unica città che ha generato opinioni del tutto discordanti fra me e mio marito.

Una luce fluorescente nel deserto del Nevada che ruota tutta attorno ad un’unica folle strada, la Las Vegas Boulevard, meglio conosciuta come lo Strip. La passeggiata turistica consiste sostanzialmente nella visita di alberghi faraonici e centri commerciali. Ogni hotel, aperto anche a chi non vi pernotta, dispone infatti, oltre che di innumerevoli camere con piscina e ristoranti, di un casinò e di un centro commerciale progettati intorno ad un tema. Vi è dunque il Caesar’s palace, imitazione dell’antica Roma; il Venetian, circondato da una Venezia in scala ridotta compresi i suoi canali e le sue gondole; il Bellagio, che si specchia nella riproduzione del lago di Como; il Planet Hollywood, con le stanze che custodiscono i cimeli dei film più noti; il Paris Las Vegas, accostato alla sua torre Eiffel; il New York New York, con i suoi più noti quartieri ecc. ecc. ecc.

Il tutto “coronato” dall’assedio dei giochi d’azzardo presenti dappertutto, persino all’aeroporto. Ci tengo a sottolineare, a proposito dei casinò, che sono luoghi costruiti per l’inganno: privi di finestre, sforniti di oro-logi, dotati di un solo ingresso e di una sola uscita, sono progettati per farti perdere il senso del tempo e, se non hai senso della misura, per rapirti ore ed ore.

Passo dunque a spiegare le opinioni discordanti cui accennavo in partenza.

Mio marito, con lo stupore di un bimbo al luna park, era completamente catturato dalle luci e dai colori ed era del tutto rilassato in quel mondo parallelo che fa volare con la fantasia. Io, invece, dopo due ore, ero già stuccata da tanta finzione e dallo sciupio di ogni risorsa. Che posso farci? Sono stata semplicemente costernata nel constatare che in una città posta nel deserto, dove la grande emergenza è la siccità, si possa accettare di riversare milioni di litri acqua in finti canali di Venezia.

Il trionfo dell’inutilità.

Senza contare le scene tristissime a cui abbiamo assistito per strada dove sotto la calura estiva, decine di donne, uomini e ragazzini di periferia erano assoldati per pochi soldi per distribuire meccanicamente ai passanti i biglietti da visita di ragazze sexy pronte ad “appuntamenti personali” .

Eppure lo Strip, visto dalle finestre ai piani alti degli alberghi, sembra un enorme formicaio per quanto è affollato. E la gente non sembra mai stanca delle attrazioni di questa pazza città.

A Las Vegas io tornerei solo per due motivi: dormire un’altra notte al Bellagio hotel e assistere agli spettacoli che ogni albergo mette a disposizione del pubblico. Indimenticabili, per esempio, le danze delle fontane del Bellagio e molto suggestiva la battaglia dei pirati sui vascelli mobili al Treasure Island. Nutro un po’ di rimpianto per non aver potuto vedere il Cirque du solei. La prossima volta.. forse.

La strada verso i parchi

Abbiamo raggiunto i parchi in auto noleggiata dalla Hertz.

Sulle interminabili strade che ritagliano le vastità dello Utah e dell’Arizona, si possono ancora trovare piccole briciole del mio cuore. Le ho lasciate metaforicamente là, nella speranza di poterle andare a ritrovare un giorno, come Pollicino fece con le briciole di pane che lo ricondussero a casa.

Per raggiungere da Las Vegas il parco nazionale del Bryce Canyon ci sono volute circa cinque ore di auto-mobile e di stupore. All’uscita da Las Vegas siamo stati travolti dall’arsura, sulle carreggiate fiancheggiate da immense distese di polvere bianca costellata da arbusti spinosi e cactus a forma di candelabro. In quell’occasione abbiamo appreso che le scene di rapimenti nel deserto della serie “CSI Las Vegas” sono ambientate in inquietanti luoghi realmente esistenti alla periferia della città.

Dopo un paio d’ore d’auto, ci siamo concessi una pausa in una delle poche stazioni di servizio dell’autostrada I-15 N e siamo capitati in una di quelle stazioni nelle quali prevalgono gli scaffali di fuochi d’artificio sugli scaffali di viveri. Tra l’altro, pur essendoci una certa quantità di esplosivo, non ci è sembrato che l’edificio fosse dotato di particolari apparati di sicurezza. A rendere più avventurosa l’atmosfera ci pre-cedevano alla cassa due di quegli energumeni americani baffuti e con i vestiti a borchie che hanno il corag-gio di percorrere il deserto aspro sulle loro Harley Davidson. Per finire, alla cassa ci ha servito uno di quei nativi d’America, dall’aria un po’ rassegnata, che si sono voluti integrare con gli americani.

Ripreso il viaggio, ai confini con lo Utah, il paesaggio è mutato e si è vestito dei più splendidi colori e forme. In questa zona si alternano agli altopiani verdi e scoscesi sui quali ruminano i bisonti e i cavalli, alle rocce altissime sfumate dal marrone all’arancione. Per raggiungere il parco del Bryce Canyon, diversamente da quanto consigliato dalla guida, non siamo arrivati a Cedar city ma abbiamo svoltato verso il parco di Zyon che, attraverso un suggestivo percorso fra rocce chiare e conifere, porta fino al Bryce Canyon. E’ stato nel parco di Zyon che abbiamo attraversato dei tunnel stupendi, ad arco a tutto sesto, scavati nella roccia ros-sa. E lì, in un paesino dai caratteri western, ci siamo fermati per rinfrancarci dal caldo, in un tipico locale da cowboy dove una altrettanto tipica biondina americana ci ha servito un salutare iced coffee.

Dopo ancora un’ora d’auto siamo arrivati a destinazione, nei pressi del parco del Bryce Canyon, nel nostro albergo rivestito di legno. L’albergo è situato in un posto delizioso, immerso nel verde, nelle vicinanze di un campeggio dove è possibile pernottare nelle tende degli indiani, i tepee, e nelle presso un villaggio che riproduce i vecchi borghi dei cowboys. Proprio qui, in un grande capannone di legno, abbiamo cenato, gu-stando un delizioso piatto di carne, patate e fagioli e ascoltando dei simpaticissimi cow boys che ci hanno allietato la serata a suon di musica country con chitarra, violino e percussioni.

Bryce Canyon

(hotel Best Western Ruby’s Inn,  Utah highway 63; voto 8)

Non ci sono parole per esprimere la bellezza del Bryce Canyon. E’ un immenso anfiteatro naturale dove si elevano guglie e pinnacoli dorati, rosa e arancioni. Al suo interno si avviluppano sentieri suggestivi come il percorso Navajo che prende il nome da uno dei popoli nativi americani. Effettivamente, avanzando sul sentiero, si aveva la sensazione che da un momento all’altro potesse spuntare un indiano a cavallo da dietro una roccia.

Siamo stati al Bryce Canyon al tramonto e al mattino per poter ammirare le sue forme con le varie vibrazioni di luce. Lo suggeriscono gli stessi nomi dei più noti view points come sunset point, sunrise point e inspiration point. Il modo migliore per apprezzare le meraviglie del parco, più delle terrazze sui view points, resta comunque la discesa verso la profondità del canyon dove si possono scattare delle foto stupende accanto alle buffe rocce dette hoodoo. I sentieri sono di diversa lunghezza e difficoltà e alcuni sono adatti anche a genitori con bambini, purché dotati di scarponcini alti che proteggano le caviglie.

Grand Canyon

(hotel Best Western Squire Inn, P.O. box 130 highway 64)

Lasciando a malincuore il Bryce Canyon, siamo rimontati sull’auto diretti verso il Grand Canyon. Questa immensa fenditura nella terra è lunga circa 450 km, larga 16 Km e profonda 1,5 Km. Essendo così lunga e generalmente inaccessibile per le sue asperità, non si può vederla se non circumnavigandola per migliaia di Km o scegliendo uno dei due punti di accesso, il North o il South Rim. A noi è stato consigliato di dirigerci a sud, un punto che dista dal Bryce Canyon 5 ore e mezza d’auto. Questa ulteriore traversata è stata l’occasione per restare a bocca aperta innanzi ad altri paesaggi dello Utah e dell’Arizona. Molto bella, sulla strada US-89, la città di Kanab, detta “la piccola Hollywood”, che ha offerto i suoi dintorni come set di di-versi films western.

Passato il confine, all’inizio lo scenario ci è sembrato piuttosto monotono, con le sue pianure brulle e la strada infinitamente rettilinea. Marciando con l’auto a cambio automatico e il controllore automatico di velocità, c’era il rischio di addormentarsi ed ogni rarissima curva veniva salutata con entusiasmo. Dopo un’oretta, però, il paesaggio ha cominciato a farsi sempre più diverso e dismettendo le vesti di altopiano semideserto è divenuto prima paesaggio lunare e poi scenario da film di Sergio Leone. Impressionanti le enormi rocce rosse che, mano a mano che ci avvicinavamo al parco, si elevavano sull’altopiano perfetta-mente squadrate.

Poi siamo giunti al parco. Abbiamo valicato l’ingresso a est, contraddistinto da una biglietteria dai tetti spioventi ed una cassiera vestita da ranger, ed abbiamo proceduto lentamente lungo la strada indicata. La carreggiata era costeggiata da tanti alberi, soprattutto conifere, che ci hanno tratto in inganno facendoci credere di essere lontani dal canyon. Ed invece, fatti un paio di Km, appena dietro gli alberi verdi, si è aperto, in basso, l’infinito.

Un’altra emozione per la quale tutte le parole sono inadeguate. Chi crede in Dio, ad una vista del genere, non può che complimentarsi con Lui per la sua ineffabile fantasia. Il Grand Canyon è una depressione nella terra con milioni di sfumature di colori cangianti a seconda della luce e si estende per così tanti Km che la vista a volte si disorienta. In certi momenti, fissando la profondità, avevo la sensazione che i miei occhi non potessero catturarla e allora il paesaggio, per qualche istante, mi sembrava persino piatto.

Il parco del Grand Canyon è molto grande e fra un view point e l’altro ci sono diversi Km sicché, per vederli tutti in un paio di giorni occorre usare l’auto. Io e mio marito, tuttavia, forti dell’esperienza del Bryce Can-yon, anche in tal caso abbiamo lasciato spazio ad una camminata. Il secondo giorno di permanenza ci siamo alzati di buon mattino e abbiamo intrapreso il sentiero di circa 11 Km che unisce il Maricopa point all’Hermits rest. Il parco mette a disposizione dei turisti una navetta gratuita che ferma ad ognuno degli otto punti panoramici tuttavia fare il percorso in bus significa perdere l’80% della bellezza dell’esperienza. Per esempio, la traversata a piedi è un’occasione unica per avvistare gli animali. Tra lo scricchiolio dei sassolini sotto le scarpe ogni tanto si udiva il crepitio degli scoiattoli che addentavano le ghiande. Sui cigli dei burroni è frequente incontrare degli scoiattoli che contemplano per ore l’infinito emettendo di tanto in tanto dei richiami dolcissimi che echeggiano nel vuoto del Grand Canyon. Sulle strade si fermano a beccare le briciole dei bellissimi uccellini blu. Nell’alveo dei canyons volteggiano eleganti corvi e condor che ho invidiato profondamente per la loro capacità di volare e poter lambire tutte le sfumature del parco.

Fare il sentiero a piedi significa anche poter seguire con avida curiosità il corso del Colorado river. E’ un fiume che scintilla nell’abisso e si atteggia ora a corso d’acqua mite ed ora a grappolo di rapide velocissime da tensione estrema. Oggi è possibile affrontare le rapide in gommoni attrezzati ma, prima che l’uomo ap-prendesse questa tecnica, per molti esploratori fu ardua impresa sopravvivere al gorgoglio vorace delle acque. A proposito del rapporto avventuroso fra uomo e Grand Canyon, non bisogna perdersi il film sul Grand Canyon prodotto dal National Geographic Channel. All’uscita del parco c’è un cinema dove lo proiettano di seguito su maxi schermo. Il film spiega, fra l’altro, come il Grand Canyon abbia assistito implacabile alla fine di molti esploratori morti di stenti fra le sue asperità e come oggi l’uomo abbia in parte domato il cuore selvaggio del parco senza peraltro poter dire di dominarlo pienamente.

Los Angeles

(hotel Ramada plaza west Hollywood, 8585 Santa Monica Boulevard; voto 8: posizione centrale e stanza hi-tech)

Abbiamo avuto solo mezza giornata per visitare questa città. Essendoci arrivati in auto, il primo impatto è stato il trauma di dover affrontare il traffico: migliaia di auto distribuite su un’autostrada a tre livelli di al-tezza e tre/quattro corsie di marcia per carreggiata. Erano per lo più auto costosissime nonché le mitiche auto dei CHiPs (California highway patrol) che in me e M. hanno risvegliato il ricordo del divertente omoni-mo telefilm americano e dei fantastici Frank Poncherello e Johnny Baker.

Dopo esserci sistemati in albergo sulla Santa Monica Boulevard, abbiamo raggiunto la strada più famosa del mondo, la Walk of fame, tutta costellata di stelle rosa riportanti i nomi delle star del mondo dello spettacolo. Abbiamo poi raggiunto il Chinese Theatre, affollato di turisti, passanti e attori travestiti da personaggi dei film. C’era naturalmente l’imitazione di Michael Jackson, quanto mai osannato dopo la sua recente scomparsa. C’erano persino dei manifestanti, fra i quali un gruppo di mormoni che tentavano di distogliere la gente dal vano divertimento provando a inculcare in loro qualche insegnamento morale. Avendo poco tempo a disposizione, presso il Chinese Theatre abbiamo fatto la comoda scelta del bus rosso dei turisti, lo “Starline citysightseeing”. Il percorso aveva le seguenti tappe principali: 1. la Sunset boulevard fitta fitta di locali costruiti sulle scenografie dei film più famosi (per es. c’era un pub realizzato in uno dei vagoni ferroviari salvati da Superman nell’omonimo film) o comunque di proprietà di note stelle del cinema 2. Il quartiere residenziale di Beverly Hills, con le sue elegantissime ed inaccessibili ville circondate da giardini immensi 3. Rodeo Drive, con i suoi lussuosi negozi dove anche respirare potrebbe avere un costo e dove abbiamo immaginato Pretty Woman che faceva impacciata il suo shopping 4. L’elegante quartiere di Melrose vicino ai Paramount studios e al “Forever cemetery” di Hollywood.

Per quanto breve sia stata la visita, anche Los Angeles ci è piaciuta molto per i suoi colori, le sue architettu-re e la gente (tantissimi giovani) molto free.

Ed è giunto così il nostro ultimo giorno negli Stati Uniti. Al mattino presto del giorno 16 siamo andati all’aeroporto di Los Angeles, gremito di viaggiatori impegnati in code lunghissime e siamo partiti verso il Messico. Ma questa è un’altra storia..